Luoghi insoliti della Città Eterna. “E che ce vo’ pe’ fa’ la panzanella?” recitava Aldo Fabrizi.
È mattina presto, ma il sole scalda già la pelle. Tra i turisti americani, inglesi, francesi e giapponesi, c’è anche il nostro amico Franco, che ha ancora voglia di scoprire le bellezze nascoste della Città Eterna. Tra passione archeologica e desiderio di sfidare il caldo tropicale, si arma di zaino, acqua e coraggio ed intraprende la via dell’esploratore alla ricerca non del solito Colosseo, che senza dubbio rimane uno dei monumenti più maestosi al mondo, ma di quei luoghi insoliti, visibili ancora all’occhio dei più curiosi. Alla ricerca di un itinerario volto a percorrere distanze e secoli alla scoperta delle meraviglie di Roma.
Aggirandosi tra le vie del centro, Franco rimane affascinato da una bottega con una vetrina alquanto particolare: si tratta dell’”Ospedale romano delle bambole” in via di Ripetta. L’insegna del negozio non può passare inosservata in quanto recita:” Restauri Artistici Squatriti: Ospedale delle Bambole.” Conosciuto dai romani come il “negozio del terrore”, stiamo parlando di un laboratorio di restauro il cui scopo principale è quello di trattare i giocattoli con delicatezza, cura ed affetto. La vetrina è inquietante, colma di braccia, teste, gambe di bambole ed una collezione di buhos.
Franco incuriosito chiede ai proprietari Federico Squatriti e sua madre Gelsomina, delucidazioni su questa paricolare attività situata al centro di Roma, che indubbiamente riesce ad attirare l’attenzione dei passanti. E’ una tradizione di famiglia, in cui l’arte del restauro è trasmessa di generazione in generazione. Un ritmo incessante di lavoro in cui i proprietari lavorano ininterrottamente per dodici ore al giorno, in uno studio di quindici metri quadri, dove si mischiano soldatini di piombo, anfore etrusche, marionette, bambole da collezione, oggetti antichi che valorizzano ancora oggi il ruolo dell’artigianato e del restauro. La maggior parte delle bambole sono in legno o in carta pesta risalenti al diciannovesimo secolo, periodo in cui venivano considerate come oggetti da contemplare. Oggi rappresentano memorie da conservare o oggetti pregiati per i collezionisti che arrivano da tutto il mondo. Al termine della riparazione, ogni singola bambola viene riconsegnata con un apposito diario diagnostico con tutte le lavorazioni effettuate ed i consigli per trattarle con cura. Un luogo che vale la pena di visitare.
Dopo questa entusiasmante esperienza, Franco decide di arricchirsi di arte e cultura romana. Al centro dei suoi pensieri c’è la voglia di scoprire le opere della Street Art romana, argomento di rilievo soprattutto negli ultimi anni. Nel 2010 l’artista Diavù fonda M.U.R.O, il Museo Urban Art di Roma, un progetto che promuove e produce questa nuova forma d’arte contemporanea, nel quartiere Quadraro. Viene creato un museo a cielo aperto, in cui gli artisti danno sfogo alle loro passioni con il Patrocinio del Comune di Roma e della Provincia di Roma. Lo scopo è quello di instaurare un dialogo con i cittadini residenti in quei luoghi, con l’intento di creare opere che siano realmente volute e accettate, ma soprattutto in grado di rispettare e non alterare le memorie storiche e l’identità dei quartieri.
Oltre al Quadraro, un altro che ospita numerose opere Street Art è il quartiere Ostiense.
Anche il tema dell’antimafia entra a far parte della Street Art: proprio ieri, 4 luglio, è stato inaugurato un murales sulla Collina della Pace nella borgata Finocchio, sorto in un’area verde confiscata alla Banda della Magliana nel 2011. Un progetto nato grazie alla collaborazione con l’Associazione DaSud che grida a gran voce: “Vogliamo rinfrescare la memoria a chi parla di semplici infiltrazioni. Che a Roma ci siano le mafie ormai dovrebbero saperlo anche i muri.” Street Art come arma per sconfiggere la mafia.
Soddisfatto di questa giornata intensa, Franco in sella alla sua vespa, si dirige verso “La sagra della panzanella” a Monterotondo. Cos è la panzanella? Un piatto semplice, gustoso ed estivo da preparare in cinque minuti: pane raffermo bagnato nell’acqua e condito con pomodoro, olio, aceto, sale e basilico.
A tal proposito Aldo Fabrizi recitava:
“E che ce vo’
pe’ fa’ la Panzanella?
Nun è ch’er condimento sia un segreto,
oppure è stabbilito da un decreto,
però ‘a qualità dev’esse quella.
In primise: acqua fresca de cannella,
in secondise: ojo d’uliveto,
e come terzo: quer divino aceto
che fa veni’ ‘a febbre magnerella.
Pagnotta paesana un po’ intostata,
cotta all’antica, co’ la crosta scura,
bagnata fino a che nun s’è ammollata.
In più, pe’ un boccone da signori,
abbasta rifini’ la svojatura
co’ basilico, pepe e pommidori.”
Valeria De Paolis
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